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Al mediatore spetta la provvigione pure se l'affare si è concluso a mandato scaduto e grazie a terzi

  • David Ascarelli
  • 9 set 2022
  • Tempo di lettura: 3 min

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 25648 del 31/08/2022, ha chiarito il criterio per la ripartizione della provvigione in caso di accordo successivo alla prima visita.


La fattispecie in questione riguardava il titolare di un’agenzia immobiliare, il quale convenne in giudizio l’acquirente e il venditore di un immobile per ottenere la condanna al pagamento delle provvigioni maturate a seguito dell’attività di mediazione. L’attore allegò di aver ricevuto l’incarico di promuovere la vendita dell’immobile della società venditrice e di aver pubblicato alcuni annunci sulla Gazzetta locale. A seguito di ciò, l’acquirente prese contatti con l’agenzia, manifestando un interesse all’acquisto e sottoscrivendo una proposta. Tuttavia, secondo i convenuti, la conclusione dell’affare, avvenuta a distanza di un mese, non era riconducibile a tale attività in quanto successiva alla scadenza del mandato. Inoltre, la prima proposta di acquisto era stata rifiutata dal venditore, mentre la transazione si era perfezionata solo grazie all’intervento di un altro mediatore.


Anche se inizialmente il giudice di merito e la Corte d’appello avevano accolto la domanda dell’agente, ripartendo la provvigione tra i due mediatori al 50% dopo averla determinata sulla base degli “usi vigenti”, la Cassazione ha voluto fare chiarezza su una situazione che di frequente si verifica nelle compravendite immobiliari.


In particolare, la Corte ha sancito che “Il diritto del mediatore alla provvigione sorge allorché la conclusione dell'affare abbia avuto luogo per effetto dell'intervento del mediatore stesso, ancorché questi non abbia partecipato a tutte le fasi della trattativa, e cioè quando la conclusione dell'affare possa comunque ricollegarsi con rapporto di causalità all'attività mediatrice”. Nel caso specifico, il mediatore “aveva messo la venditrice in relazione con l'acquirente, il che delinea l'efficacia del suo intervento nel favorire la conclusione dell'affare, presupposto sufficiente per affermare il diritto del mediatore alla provvigione”.


Ulteriormente, “quando l'affare sia concluso con l'intervento di più mediatori (congiunto o distinto, contemporaneo o successivo, concordato o autonomo, in base allo stesso incarico o a più incarichi), a norma dell'art. 1758 c.c., ciascuno di essi ha diritto ad una quota di provvigione". Tale diritto "sorge soltanto quando essi abbiano cooperato alla conclusione dell'affare simultaneamente e di comune intesa, ovvero autonomamente, purché giovandosi l'uno dell'attività espletata dall'altro, in modo da non potersi negare un nesso di concausalità obiettiva tra i loro interventi e la medesima conclusione dell'affare, e sempre che si sia trattato dello stesso affare, sia sotto il profilo soggettivo, che oggettivo”.


Viceversa, “non sussiste il diritto al compenso quando, dopo una prima fase di trattative avviate con l'intervento del mediatore senza risultato positivo, le parti siano successivamente pervenute alla conclusione dell'affare per effetto d'iniziative nuove, in nessun modo ricollegabili con le precedenti o da queste condizionate, sicché possa escludersi l'utilità dell'originario intervento del mediatore”. Un accertamento, questo, che spetta al giudice di merito.


Nel caso in cui vi sia l’intervento di più mediatori in un affare, conclude la Cassazione, ciò “non attribuisce ad ognuno di essi il diritto ad una quota eguale di provvigione, dovendo la misura di detta quota essere, invece, rapportata all'entità ed all'importanza dell'opera prestata da ciascuno dei mediatori intervenuti”. Qualora però “l'entità dell'efficienza concausale dell'opera dei singoli mediatori non sia dimostrata… la ripartizione della provvigione tra i più mediatori deve essere fatta in parti uguali (come ha ritenuto la sentenza impugnata), atteso che, rispetto alla prestazione divisibile costituita dalla provvigione, come in ogni figura di obbligazione soggettivamente complessa quando non risulti diversamente provato, a ciascuno dei creditori spetta, appunto, una identica quota”.


 
 
 

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