top of page

Non assoggettate a tassazione le somme percepite a titolo di risarcimento del danno emergente

  • David Ascarelli
  • 3 giu 2022
  • Tempo di lettura: 2 min

Come confermato dall’Ordinanza 22 settembre 2021 n. 25622 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, “in tema di imposte sui redditi da lavoro dipendente, in base al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, comma 2, (nel testo applicabile “ratione temporis”), le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione soltanto se, e nei limiti in cui, risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi (cd. lucro cessante), mentre non costituiscono reddito imponibile nell’ipotesi in cui esse tendano a riparare un pregiudizio di natura diversa (cd. danno emergente)”.


Partendo la distinzione ormai nota tra danno emergente e lucro cessante, costituendo il primo la perdita patrimoniale concretamente patita (per effetto dell’inadempimento o dell’inesatto adempimento di un’obbligazione o, nel caso di illecito extracontrattuale, in conseguenza del fatto illecito altrui) mentre il secondo il mancato guadagno (ovvero il mancato flusso patrimoniale che si sarebbe prodotto in assenza di inadempimento o di fatto illecito), ciò che preme sottolineare è la qualificazione giuridica che ne viene data dalla Corte ai sensi dell’art. 6 del D.P.R. n. 917/1986, ovvero il Testo Unico delle Imposte sui Redditi.


In sostanza, la Corte ha espresso il principio secondo il quale le indennità incassate a titolo risarcitorio, allorquando abbiano una funzione sostitutiva o integrativa del reddito del percipiente, debbano essere considerate redditi imponibili. Ma essendo la funzione integrativa presente solo allorquando l’indennità vada a compensare il lucro cessante, quando il risarcimento è collegato al danno patrimoniale emergente oppure quando ristori il soggetto rispetto a danni non patrimoniali, non vi è un collegamento ad un reddito, seppur perduto e reintegrato. E dunque il Legislatore non ravvisa in ciò una capacità contributiva.


Proprio per le implicazioni che ne conseguono, assume rilevanza la sussistenza di una reale volontà delle parti nel ristorare un danno emergente anziché un lucro cessante. Infatti, ben potrebbero le parti definire la ristorazione di un danno emergente ciò che non è, al fine di ridurre il carico fiscale generato dagli atti conseguenti all’accordo. Al riguardo, secondo i Giudici di legittimità, “l'interpretazione del contratto, concretandosi nell'accertamento della volontà dei contraenti, si traduce in un'indagine di fatto affidata al giudice di merito e, se congruamente motivata, non è censurabile in sede di legittimità”.


Dott. David Ascarelli

 
 
 

Commenti


Seguiteci su:

  • LinkedIn Icona sociale
  • Instagram

Via dei Due Macelli, 48 - Roma
06/6783118
studioascarelli@gmail.com

bottom of page